
Guardandoci attorno percepiamo un mondo di oggetti più o meno solidi e variamente distribuiti nello spazio: percepiamo cioè un mondo tridimensionale.
Ma quando indirizziamo lo sguardo verso qualcosa, le immagini che si formano sulla superficie delle retine oculari non sono altro che immagini bidimensionali.
Come è possibile dunque avere una visione tridimensionale del mondo a partire da due immagini «piatte», quali appunto quelle retiniche?
Una prima risposta porta a considerare che, da centro a centro, tra i nostri due occhi c'è una distanza di sei - sette centimetri. Conseguentemente dei due occhi l'uno vede le cose in maniera lievemente diversa dall'altro. E facile rendersi conto di questa dissomiglianza - che viene denominata disparità retinica guardando un oggetto prima con un occhio e poi con l'altro. Così facendo, ci accorgeremo che l'oggetto appare volta a volta in posizione diversa rispetto allo sfondo, e che tale diversità è tanto maggiore quanto più l'oggetto osservato è vicino a noi.
Ebbene, il nostro sistema visivo utilizza proprio le differenze
esistenti tra i segnali provenienti dalle due immagini retiniche, per conferire tridimensionalità alle cose che vediamo. Ossia, in altri termini, il nostro cervello opera la fusione delle due immagini retiniche dando come risultato la visione stereoscopica.
Un esempio di applicazione della fusione ottica di due immagini sfalsate per ottenere una visione tridimensionale è offerto da un apparecchio assai comune chiamato appunto stereoscopio (dal greco stereos, rigido, solido e, per estensione, tridimensionale; e skopéo, osservo), inventato nel 1832 dal fisico inglese Charles Wheatstone.
Però quando gli oggetti si trovano ad una distanza che supera i cento metri, in pratica non vi è più alcuna disparità fra le immagini retiniche e pur tuttavia riusciamo ugualmente a mantenere la percezione della tridimensionalità. Altrettanto avviene quando passiamo dalla visione bioculare a quella monoculare, ovvero quando guardiamo con un occhio solo.
Evidentemente, oltre ai dati forniti dalla disparazione bioculare e da altri meno rilevanti meccanismi fisiologici, nel giudicare la collocazione degli oggetti nello spazio e per valutare la loro distanza relativa, noi ci avvaliamo anche di altri criteri o indizi dei quali non sempre siamo pienamente consapevoli, mentre invece è utile saperli distinguere e riconoscere. Perciò nelle due pagine che seguono vengono descritti e illustrati gli indizi più frequentemente riscontrabili nella valutazione, dal vero o da immagini, di situazioni spaziali.
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